“Il padre d’Italia”: un viaggio interiore firmato dal talento registico di Fabio Mollo
“Il padre d’Italia” è una conferma: è la conferma del talento di Fabio Mollo, che – dopo il successo del film d’esordio, “Il sud è niente”, e quello del documentario “The Young Pope – A tale of filmmaking”, candidato ai Nastri d’argento Documentari – torna alla regia di un lungometraggio, dando prova ancora una volta di una grande capacità di racconto visivo e di costruzione di personaggi eterei e concreti al tempo stesso, che affascinano lo spettatore grazie al suo modo di saperlo condurre all’interno del “gioco” del cinema; è la conferma anche del grande talento, della versatilità, del trasformismo del protagonista, un Luca Marinelli straordinario nel saper diventare ogni volta il personaggio, rendendosi irriconoscibile rispetto al ruolo precedente, sapendo così essere attore, nel senso pieno del termine; è la conferma anche della grande possibilità – anzi, ormai capacità accertata e in corso di sviluppo – del cinema di diventare tutt’uno con i territori che rappresenta, di farne nuovi protagonisti, di leggerli in maniera innovativa, grazie ad un “on the road” che del viaggio nel nostro Paese fa un viaggio dell’anima.
Questo – e, come vedremo, molto altro – è “Il padre d’Italia”, nelle sale dal 9 marzo (preceduto da un’anteprima nazionale al Modernissimo di Cosenza il 5 marzo, e da altre due prime, al Teatro Grandinetti di Lamezia il 6 ed al Cinema Aurora di Reggio Calabria (città natale di Mollo e tra le location protagoniste del film) l’8 marzo.
Tornano, nel secondo film di Fabio Mollo, le atmosfere rarefatte, l’originalità di sguardo, la cura per l’aspetto visivo (magnifico l’incipit, dove il gioco di luci è fondamentale, come in altre parti, nonchè la ripresa della protagonista, nuda e incinta, velata da una tenda bianca) che non è estetismo, ma forma di narrazione, moderna ma non sganciata da un gusto artistico che si nutre di canoni “classici” (in questo, si avvicina sicuramente allo stile di Sorrentino, ma meno astratto o dai toni grotteschi), l’essenzialità delle parole. Strumenti che sono funzionali ad un racconto che, anche in questo caso, come nel film d’esordio, è legato ad una scoperta di se stessi, ad una crescita: il divenire genitori o l’interrogarsi su questo cambiamento, su questa scelta, come momento spartiacque della propria esistenza, come momento in cui si diventa adulti. E le domande si susseguono, ma non sempre esplicitate: sono quelle che nascono – o tornano – dall’incontro tra Paolo, reduce dalla fine del lungo rapporto con il suo compagno e che vive una vita molto razionale, e Mia, cantante, incinta, colorata ed esuberante, che lo travolge con la sua “follia”, in un viaggio da nord a sud, alla ricerca, appunto, di se stessi.
Luca Marinelli, come si diceva, si allontana dalle sue due ultime performance (quella struggente in “Non essere cattivo” e quella camaleontica in “Lo chiamavano Jeeg Robot”, con la quale ha vinto il David di Donatello), dando ulteriore prova di sapere stupire, di sapere essere attore che diviene altro da sè, rinnovandosi in ogni interpretazione e coinvolgendo con una forza che lascia senza fiato, facendo vivere allo spettatore gran parte del film attraverso il suo sguardo. Accanto a lui, una Isabella Ragonese istrionica, nei panni di un personaggio sicuramente non facile, sopra le righe, ma che nasconde – anche a se stesso – un’umanità fragile. Senza contare la sempre bravissima Anna Ferruzzo, in un ruolo intenso e duro; e, in un cameo, Miriam Karlkvist, lanciata proprio da Mollo come protagonista del suo primo film.
E poi, “luoghi non luoghi” dell’Italia del nord, che si alternano a facce, vicoli, strade meno note di quel sud che ritorna prepotente: il paesaggio, l’architettura, che non sono solo contorno, set, sfondo, ma essenza di un racconto in cui il viaggio non è uno strumento della trama, ma ne è fondamento. E’ il sud che torna – anche con una “autocitazione”, in un dialogo, del precedente “Il sud è niente”, con quel “niente” che in realtà è tutto -, quel sud che diviene essenza di vita, famiglia (tema fondamentale dell’opera, tra assenze, presenze, desideri e rifiuti), contrasti: e quel mare che, anche in questo caso, è strumento catartico, di rinascita. Proprio al sud, il racconto assume forme nuove, se possibile ancora più intense, così come si rinnovano i personaggi: quella sintesi poetica tra concretezza e sogno, che è la cifra stilistica di un film e di una bella conferma.